Il paesaggio
“Ivi non monti, ma bei colli et culti,
fertili, aprici sono et ben distinti,
l’aratro patienti, ornati et fulti
de vite et de fructifer arbor cinti.
Sì che per lor beltade han dicto multi
da Dio e da Natura esser depinti.
A piè dei colli son valli et belli
et verdi prati et placidi ruscelli.
Sì che qualunque ben misura et vede
di questa patria ogni suo colle et piano
dirà di Vener bella esser la sede
et quella coltivar con propria mano.
Et chi ben pensa a quello che possiede
il qual è necessario al victo umano
dirallo esser di Bacco albergo fido
et di Cerer verace ostello, e nido.”
Con queste parole il casalese Galeotto del Carretto, non disprezzabile poeta del Rinascimento, delineava nel 1493 il ritratto di un paesaggio che incarna tuttora l’essenza stessa del Monferrato. Colline, innanzitutto, segnate dall’attività e dalla presenza dell’uomo in maniera profonda ma armoniosa. Cerere e Bacco, i campi e la vigna, oggi come cinque secoli fa si alternano senza mai prendere il sopravvento. Contrariamente all’Astesana o a certe zone delle Langhe, quest’area non ha conosciuto la fittissima dispersione dell’insediamento rurale; per ragioni storiche, economiche e sociologiche i paesi sono rimasti accentrati, mentre le abitazioni contadine sono prevalentemente organizzate in piccole frazioni compatte o in vaste ma ben distanziate “cascine” plurifamigliari. Il territorio ha così potuto conservare un’integrità ambientale che in molte sue parti raggiunge un’inimitabile perfezione, complice anche la levigata dolcezza dei rilievi collinari e l’alternanza quasi costante della vigna al campo, al prato, alla macchia di vegetazione spontanea che colonizza i versanti più impervi o gli scoscendimenti delle ripe. Si può ben capire come il solito Giosuè Carducci, formidabile coniatore di slogan che ancora oggi fanno la gioia degli assessorati al turismo, avesse definito queste terre “..una Toscana senza cipressi”.
(da un testo di Gianluigi Bera)